Jolanda Covre – galleria ricerca d’arte 2010

 In Testi Critici

Un pomeriggio con Marina Bindella

Marina ci presenta ancora una volta la sua capacità di rinnovarsi con forme strettamente connesse alla sperimentazione tecnica in questa bellissima serie di lavori a tecnica mista su tavola. Ciascuno, in senso letterale, appare come un monocromo lavorato con segni bianchi. Ma queste studiate scelte di toni, che passano dal blu di Prussia al blu cobalto all’oltremare all’indaco al verde di Prussia, si accendono di un inedito splendore cromatico, attraverso un procedimento che avanza per strati sovrapposti con un’attenzione formale lentamente meditata: il tutto in schemi astratti essenziali e anch’essi sempre nuovi, muovendosi tra ampie sezioni circolari, tasselli concatenati senza una precostituita geometria, luci bianche e luci “oscure”, piogge di tratti che si incurvano impercettibilmente nel seguire il gesto del braccio, fino agli straordinari buchi neri su cui rallentano misteriosamente i suoi segni incrociati.

Non si tratta solo, in questa produzione recente, di optare per l’opera unica piuttosto che per l’incisione. Per comprendere la novità di questi lavori dobbiamo innanzi tutto seguire gli spessori, avvicinandoci prima di riallontanarci per cogliere di nuovo il complesso della struttura. L’opera rivela così il suo processo, mentre si crea l’ambivalenza di una superficie piana dipinta e di un fittissimo bassorilievo. Sulla preparazione di una tavola bianca, Marina stende il colore scelto con un rullo; si avvia poi a tagliare segni che scoprono il bianco, quindi interviene con altri segni che dialogano con il colore primitivo e ancora con il bianco, procedendo per strati, tre o anche quattro strati; e raggiunge così una profondità incredibile, che nasce dai rapporti cromatici e altrettanto dalla dimensione del tempo trascorso al lavoro. Dimensione che ho sempre amato sottolineare nel suo lavoro: lei non ha mai fretta, la sua mano non accelera mai per terminare entro un momento prestabilito.

Poiché il processo non è immediatamente percepibile, e non lo è ad uno sguardo affrettato, il fruitore è implicitamente sollecitato a penetrare nella tecnica stessa, ad entrare in questa profondità, indagando tra pieghe e spessori del tratto, in una condizione a metà tra l’analisi e la contemplazione. E a quest’ultima certamente invitano le tonalità preferite in questo ciclo di opere, dove un colore caldo indurrebbe a distrarci in effetti di puro godimento cromatico, mentre il blu induce ad una penetrazione più lenta e approfondita. Un altro fattore che crea una tensione dinamica nell’immagine e al tempo stesso nel fruitore è l’equilibrio asimmetrico di luci e addensamenti di segni, talvolta spinti ai margini della cornice, con un effetto di slittamento in cui ci sentiamo quasi spinti ad intervenire, come a portare a termine un motivo musicale intonato e non totalmente eseguito: non sono casuali titoli come “pagine aperte”, “spartito”, “partitura”. Mentre notiamo come, sempre dagli stessi titoli, siano assenti sollecitazioni ad ogni tentazione di associare queste strutture astratte a configurazioni oggettive o a stati emotivi.

E’ Marina stessa che mi ha fatto osservare come il linguaggio ora utilizzato, in evidente dialettico rapporto con la xilografia da cui è partito, sia per lei il solo linguaggio capace di consentire, nella realizzazione dell’unicità dell’opera, sia l’addizione che la sottrazione, di consentire una maggiore libertà e il raggiungimento delle più diverse potenzialità: una condizione in cui, tra paziente certosino lavoro e gioco di scatti repentini, concedendosi a una certa gestualità e, insieme, ad una casualità controllata, raggiunge una sorta di felice divertimento, godendo di possibilità moltiplicate all’infinito. Marina parla liberamente, ma con incredibile precisione, di una tecnica che a un primo approccio potrebbe sembrare al fruitore costrittiva e segnata da strumenti semplici, come una tavola, un solo colore (un olio calcografico), un rullo, un coltello, un pennello impiegato non per stendere una superficie dipinta ma solo per realizzare un segno. Quando parla di tutto questo, credo che solo chi l’ha seguita per tanti anni possa comprendere a fondo la luce del suo sorriso, che è la gioia del fare senza limiti.

Jolanda Nigro Covre

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