Beatrice Peria – galleria rosaspina – ascoli piceno 2002

 In Testi Critici

Trasparenze, sottili movimenti, tenui e ravvicinate fratture che animano e fanno pulsare la superficie, segni che si aggregano in profondità alla ricerca di una luce sempre più vibrante e protagonista, queste sembrano le caratteristiche delle opere più recenti di Marina Bindella. E se l’esperienza della luce è sempre stata il movente principale della sua ricerca artistica, tuttavia sembrano mutati, talvolta quasi ribaltati, i valori e gli equilibri chiaroscurali tradizionalmente presenti nelle sue xilografie, dove improvvise accensioni luminose emergono dall’assolutezza dei fondi neri, faticosamente risparmiati dal lavoro incisorio. Segni taglienti, spesso drammatici, isolati o tessuti in trame complesse e sapientemente modulate che, anche nelle immagini più lievi e poetiche, si affermano come strappi di luce, o si insinuano nella sovranità del nero corrodendolo (laddove nella matrice avviene naturalmente l’opposto), come seguendo una forza generativa, una volontà di affermazione che si manifesta, a processo ultimato, in forme astratte, capaci però di evocare figure o immagini legate a ritmi interiori, quasi il segno portasse in superficie l’eco di profondi, lentissimi, movimenti naturali o psichici.

Nelle ultime opere, invece, l’artista sembra allontanarsi da una gestualità per così dire “figurativa”, volta cioè a sostenere il libero affiorare di ambigue formazioni segniche, di visioni fortemente allusive e gravide di rimandi emotivi, per concentrarsi su un lavoro maggiormente imperniato sulla texture, dove il segno – più costruttivo e meno organico – genera una sorta di continuum luminoso. Ed è proprio la qualità della luce che sembra aprire nuovi ed inediti registri espressivi nell’attività incisoria di Marina, mettendoci a confronto con delle esplosioni di luce quasi abbaglianti, con una sostanza luminosa palpitante, instabile, modulata su frequenze sempre variate, che pervade di sé l’intera immagine, quasi avesse finalmente raggiunto una sua autosufficienza espressiva, affrancandosi dall’ineluttabilità del confronto con il nero. A ben vedere, però, si tratta solo di una dialettica meno drammatica, ma più serrata, fatta di segni sottilissimi, a volte quasi impercettibili, che determinano una molteplicità di piani in profondità, di ritmi visivi, di direttrici percettive, che si addensano e si diffondono come in una sorta di nebulosa stellare, in un continuo fremito luminoso.

Pur nel prevalere di nuovi effetti di leggerezza e impalpabilità, di luminosità mobile e diffusa, queste immagini vengono da lontano e si nutrono di un alfabeto di segni sperimentati da tempo, trovando nei disegni e negli acquerelli il loro naturale completamento. Nel perfetto dosaggio di luce – il bianco del foglio “risparmiato” e divenuto segno – e di materia colorata o nella tessitura meticolosa che intensifica o dirada la concentrazione dei segni, imprimendo un ritmo intermittente al propagarsi della luce, si sente infatti, pur nel ribaltamento dei procedimenti tecnici, tutta la sensibilità da incisore di Marina, ma soprattutto si ritrovano la coerenza e i moventi di un percorso organico, in cui si legano diverse modalità di una stessa ricerca linguistica e poetica.

Beatrice Peria

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