Ilaria Schiaffini – mostra di sarro 2001

 In Testi Critici

I disegni presenti in questa mostra discendono da una ricerca avviata nel campo dell’incisione, che Marina Bindella pratica da diversi anni. Tra le diverse tecniche grafiche, quella prediletta è sicuramente la xilografia, come noto basata sulla incisione diretta della matrice di legno o altro materiale sintetico. La scelta non è casuale, anzi; proprio nella difficoltà tecnica e nel rigore che essa impone Marina sembra scovare la chiave per effetti inusitati, come se la riduzione consapevole delle direzioni di indagine fosse il presupposto per uno scarto espressivo. La costruzione dell’immagine xilografica richiede infatti una ideazione complessa, che, nel bilanciare isole nere risparmiate dalla sgorbia e segni bianchi scavati nella matrice, capovolge come in un ragionamento dialettico pesi e misure, quantità di luci e di ombre.

Nel disegno si procede generalmente nel senso opposto – che è poi quello più immediato – e cioè dal bianco del foglio vergine l’immagine cresce verso il nero che i segni via via configurano. E tuttavia, anche in questo caso Marina ragiona non per contorni, ma per rapporti differenziali; non per figure, ma per trapassi e inversioni di valore. I segni neri si incrociano infatti con i bianchi, i quali, “risparmiati” dall’inchiostro, vengono a loro volta qua e là arretrati dalla emergenza di angoli o virgole più scuri. Ne risulta un intreccio di notevole raffinatezza e articolazione, dove sovrapposizioni di brevi tratti di diversa densità, spessore e orientamento creano un continuo rimescolamento di luminosità e l’impossibilità di stabilire una chiara definizione spaziale.

Nascono allora pulviscoli impalpabili, nubi vaporose, nebbioline sottili dal tocco sensuale e dal sapore quasi tattile, che aprono uno spettro emotivo inedito rispetto alla drammaticità dei bagliori accecanti delle incisioni. Sembra farsi largo in questi disegni, infatti, una vena più intima e direi quasi quotidiana, condita da una buona dose di quella ironia che nasce da una profonda meraviglia per l’universo naturale. “L’arte è una similitudine della creazione. Essa è sempre un esempio, come il terrestre è un esempio cosmico”, scriveva Klee, per indicare la necessità di mantenere uno stupore infantile di fronte alle strade misteriose tramite le quali le forme del cosmo si dispiegano. Uno spirito analogo vive in queste immagini di Marina: intrecci di sterpi ispidi o fessure di piante acquatiche ispirano forse le immagini di Cespuglio tenero e di Oltranza, suggestioni di stelle o soffioni portati dal vento vengono rievocate da Spartito in fiore, mentre correnti di brezze marine sembrano scorrere rapide sulla superficie di Pagine d’aria.

Quello che da lontano si presenta come morbida evanescenza, visto a una distanza ravvicinata si rivela essere però una strana scrittura, leggera e mutevole come i pensieri inconsapevoli. Il segno, ora sottile e quasi fragile, ora scattante oppure calcato in profondità, confessa le decisioni e le esitazioni della mano; lo scorrere e l’incespicare della punta sulla carta sembrano riflettere impasti di umori, sbavature, mondi emotivi che rimangono come impigliati nelle tracce del pennino, in una orchestrazione polifonica di leggerezze e affondi.

Se è vero che in questi disegni non prevale il senso del dramma inteso come imposizione di alternative laceranti e ineluttabili, sicuramente presente è però una inquietudine sotterranea, uno sguardo obliquo capace talvolta di stravolgere vedute fantastiche e lievi in metamorfosi grottesche. In alcuni disegni la dimensione incantata si complica infatti con scatti di viscere, gli sbuffi aerei si condensano in pareti opache, superfici apparentemente lisce e senza peso si trasformano, come per una illusione ottica, in rugosità anomale.

Questo avviene, ad esempio, in Oltranza, dove le due serie di fasci luminosi si incurvano in pareti concave e convesse per una animazione plastica apparentemente non calcolata, tale da rendere la loro confluenza serrata e inequivocabile. Si ha l’impressione che a guardare le cose troppo da vicino si corra il rischio di caderci dentro, di perdere peso e posizione nello spazio, di venire inghiottiti per scivolamenti e trapassi in una dimensione sconosciuta. E’ un rischio che dà le vertigini, spaventa e sconcerta ma, proprio per questo, attrae con la potenza dei grandi sommovimenti.

Ilaria Schiaffini

(in Marina Bindella. Doppio segno. Disegni a china, cat., Centro Documentazione Ricerca Artistica Contemporanea “Luigi Di Sarro”, Roma, 3-19 maggio 2001)

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